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Posts Tagged ‘brooklyn museum’

Il Brooklyn Museum rappresenta senz’altro una best practice per quanto riguarda la comunicazione online. In questo senso, se ancora non avete esplorato la sezione online “exhibitions“, fatelo subito per scoprire come si mostrano in modo chiaro tutte le informazioni circa mostre, eventi, installazioni permanenti: due colonne, abstract facili da leggere con immagine in preview e un menu sulla sinistra con 5 pratici punti per vedere cosa c’è attualmente in museo, cosa ci sarà e l’archivio delle mostre passate.

Nessun gioco multimediale o effetti speciali di sorta, ma tutte le informazioni di base sono condivise in modo chiaro consentendo una piacevole fruizione.
Tutto qua? Niente affatto! Provate a selezionare una mostra: scegliamo ad esempio “Sanford Biggers: Sweet Funk—An Introspective“.

Ecco che si presenta una struttura molto ben disegnata e che si mantiene poi per tutte le altre mostre senza mai mandarci in confusione: menu sulla sinistra fisso, immagine in anteprima con abstract e ampia descrizione sottostante. Tutto questo si arricchisce di una serie di contenuti multimediali sulla destra.
Qui a seconda della mostra ci possono essere spazi dedicati a video, slideshow, particolari applicazioni di engagement (provate la sezione participate di questa mostra ad esempio!) audio e un box multimediale immediatamente riconoscibile con 4 aree: Media, Talk, Print, Events.

In sostanza quindi, all’interno di una sola pagina vengono mostrati tutti i contenuti relativi a quella mostra: in particolar modo si uniscono i contenuti più istituzionali con elementi UGC (come i commenti degli utenti nella sezione “Talk”).
Davvero un gran bel lavoro!

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La crescita della navigazione web attraverso smartphone (di ogni tipologia) è vertiginosa: proprio qualche settimana fa una mia collega ha realizzato un post presentando uno degli ultimi studi sul tema.

La fruizione di contenuti digitali (sia articolati sia semplici notizie testuali) passa sempre più spesso attraverso i cellulari. Sembra elementare investire quindi in applicazioni e contenuti creati ad hoc: in questo blog ho più volte mostrato App studiate per valorizzare i contenuti di una mostra, di una collezione o veri e propri cataloghi digitali. Tuttavia, non si vive di solo iPhone, iPad o Android.

E soprattutto non si vive di sole applicazioni. Credo che per un’istituzione culturale che punti a comunicare al meglio verso tutti gli utenti in ambito digitale non si possa prescindere dallo sviluppo (anche molto semplice) di un buon mobile site.

Così ho fatto un piccolo test.
Ho un Nokia 5530, smartphone ora di fascia medio bassa, ma con uno schermo di buon livello di 3,2” che consente una navigazione piuttosto piacevole. Bene, con questo Nokia ho provato a navigare alcuni dei più importati siti museali italiani.

Il risultato?

Nessuna versione mobile presente (ad eccezione del Mart), difficoltà di caricamento, lentezza, layout sgangherato.
Poi mi sono detto: proviamo con l’arcinoto Brooklyn Museum. Ecco, il sito si carica in meno di 2 secondi e ci sono tutte le info principali, e la visualizzazione è ottima da qualsiasi smartphone. Ancora più semplice ma comunque esaustivo è anche il mobile site del Powerhouse Museum di Sydney.
Un po’ quello che offre wordpress gratuitamente, per intenderci.
Info, orari, come raggiungere il museo, news: tutto presentato in modo davvero molto semplice e veloce.
Anche per un Nokia di bassa lega.

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Ringrazio di cuore Giulia Simi per la citazione di fucktorymuseum all’interno della sua presentazione “Musei e Social Media. Una relazione piena di paure“, mostrata durante l’evento GGD8 a Bologna lo scorso 13 novembre.

La presentazione, partendo dall’evento #askacurator, mostra poi lo scenario delle istituzioni culturali italiane su Twitter, provando anche ad analizzarne la performance: soprattutto si evidenzia uno scarso utilizzo di questo presidio da parte di tante istituzioni del nostro paese.
L’incredibile successo di #askacurator in tutto il mondo, e la sola partecipazione del Mart per quanto riguarda la compagine italiana, mostra ancora una volta come si sia persa una grande occasione di “incontro” con gli utenti.

La presentazione prosegue anche analizzando una grande esempio di social media marketing: l’esperienza del Brooklyn Museum.

Di seguito la presentazione di Giulia Simi.

Giulia cura anche un bellissimo blog (che ho prontamente aggiunto tra i preferiti): Excentrica.

Su tutti vi segnalo il post Esempi di social media marketing: il Brooklyn Museum.

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La Fondazione Fitzcarraldo, in collaborazione con il Salone DNA, organizza un convegno internazionale assolutamente da non perdere per tutti gli appassionati di musei e nuovi media:

Surfing and walking: i musei e le sfide del 2.0

L’evento avrà luogo a Torino il 2 ottobre prossimo come programma satellite di Artlab10.

Il programma si concentrerà sull’utilizzo che i musei stanno facendo di alcuni strumenti che Internet mette a disposizione (siti web istituzionali, social network, mondi virtuali, aggregatori di contenuti, blogosfera) per avvicinare nuovi pubblici, per fornire modalità aggiuntive di accesso ai contenuti museali, per preparare e migliorare l’esperienza di visita, per favorire l’approfondimento e agevolare le diverse necessità di apprendimento. Sarà l’occasione per presentare casi ed esperienze internazionali e nazionali.

Tra gli addetti ai lavori che parteciperanno c’è Luca Melchionna dell’Ufficio Stampa del Mart (intervistato nei mesi scorsi anche da fucktorymuseum), Alessandro Isaia (Responsabile Comunicazione e Marketing, Fondazione Torino Musei), Carlotta Margarone (Assistente Curatore, Palazzo Madama, Torino), Christian Ghiron e Giuseppe Ariano (Ministero per i Beni e le Attività Culturali), e nomi internazionali come Diane Drubay, (Fondatrice di http://www.buzzeum.com, Francia), Jim Richardson (Amministratore Delegato, SUMO, “I like…museums” Il portale dei musei del Nord-Est, Uk) e niente di meno che Shelley Bernstein (Direttrice del Dipartimento di Tecnologia, Brooklyn Museum, NY) che sarà anche protagonista di un incontro nel pomeriggio “A tu per tu con Shelley Bernstein”.

Io ci sarò e sarà davvero un piacere incotrare alcuni dei nomi sopra citati, di cui ho scritto spesso in questo blog. Ringraziando Laura per la preziosa segnalazione, rimando qui per tutte le info.

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Abbiamo già parlato di Foursquare, ma guardate un po’ la pagina dedicata alla Foursquare community del Brooklyn Museum.

La pagina è stata realizzata sfruttando le API di Foursquare, e qui potete trovare un bell’articolo che esalta la creatività del museo.

The list of Foursquare users who’ve been to museum (along with their avatars) is highlighted. The tips users have left on the museum’s venue page are shown as well. This is a nice way to integrate the opinions and suggestions of other users directly into the site.
The venue’s current mayor is shown, along with a list of the past mayors of the museum. They also highlight their mayor special at the top of the page, which offers a free 1stfans Membership when their mayor checks in at Target First Saturday events. The museum’s special badge, BK Art Star, is shown, along with all the users who’ve ever earned it.

Un lavoro davvero ben fatto, con la creazione di un badge (come ha già fatto anche il MET), una promozione per i Mayor, e un altro elemento sorprendente: gli staff picks.

In sostanza, a fianco dei check-in dei visitatori del museo, sono mostrati i check-in dei vari membri dello staff in locali vicini al museo: un modo carino per condividere e promuovere ristoranti, negozi, wine bar nei paraggi del museo e aumentare il coinvolgimento tra staff e visitatori/utenti.

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Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto

Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto

Intervista esclusiva con Luca Melchionna, collaboratore settore Comunicazione del Mart, che ci spiega la strategia 2.0 (Facebook, Twitter, Flickr, Social Tagging, Blog, ecc.) del Museo: un’avventura non priva di problematiche ma che si contraddistingue per una visione attenta dei nuovi strumenti web e delle opportunità che offrono all’attività museale.

Per chi non volesse leggere qui tutta l’intervista (molto dettagliata ed interessante), ho preparato un mini e-book dal titolo “L’avventura 2.0 del Mart” che si può sfogliare e scaricare da ISSUU.

Non perdetevelo perché rappresenta una bella testimonianza di utilizzo del web da parte di un’istituzione culturale italiana, di certo non una consuetudine.

Un ringraziamento a Luca per la disponibilità.

Il Mart è uno dei pochissimi musei italiani ad avere una così ampia presenza online, in particolare negli ambienti 2.0 (Facebook, Youtube, Flickr, Twitter). Quando e come è venuta  l’idea che il museo poteva “vivere” anche in questi presidi?

E’ nata a fine 2006, come naturale evoluzione di un duplice processo. Innanzitutto un potenziamento globale di tutte le attività di comunicazione, incentrato su un grosso lavoro di ufficio stampa; il Mart è stato molto lungimirante, e ha creato un ufficio comunicazione di prim’ordine. Dall’altro, il rinnovamento completo di un sito web che era invecchiato troppo in fretta. La spinta finale è arrivata dall’arrivo al Mart di un “presidente tecnologico”, Franco Bernabè, e da un Consiglio di Amministrazione che ha posto degli obiettivi chiari per la comunicazione online.
La traduzione concreta di questi stimoli ha significato prendere consapevolezza che:

  • nel giro di pochi anni la presenza sul web delle istituzioni diventerà un indicatore come altri di autorevolezza istituzionale. Piano piano tutti stanno capendo che l’idea che il web minacci l’autorevolezza dei musei è sbagliata.
  • essere assenti dal web partecipativo è per definizione impossibile; non partecipare non significa affatto non esserci, ma piuttosto cedere ad altri il controllo sulla propria reputazione. Questo è un punto decisivo che risulta utile nella contrattazione delle strategie con i livelli alti della direzione museale
  • I soldi seguono le innovazioni, anche in un mercato opaco come quello italiano. Stare fuori da questi processi incide sui bilanci traballanti dei musei. Non sono discorsi campati in aria: le aziende prima di dare soldi a un’istituzione vogliono capire se sa parlare ai suoi utenti. Perché le aziende vogliono utenti che non raggiungono, mica l’istituzione in quanto tale!
  • è vero che i problemi di diritti e copyright sono notevoli. Ma è altrettanto vero che stanno cambiando le regole del copyright a livello internazionale, quindi stare fermi per paura di fare casino è una scelta comoda ma suicida. E’ meglio partecipare a una riscrittura delle regole che stare in disparte.

E’ stata costruita una strategia di intervento in questi presidi?(magari analizzando qualche best practice?)

Il tempo è poco, e ogni intervento va mantenuto, quindi le strategie sono essenziali. La soluzione più intelligente mi è sembrata quella di prendere spunto dai migliori (Brooklyn Museum), di controllare le discussioni di Museums & the Web, dei gruppi di lavoro dei professionisti del settore su LinkedIn, e di seguire alcuni blogger autorevoli, in testa a tutti Nina Simon. In base ai risultati di questa analisi abbiamo scelto alcuni interventi invece di altri, lasciando naturalmente anche un po’ di spazio per esperimenti episodici, senza i quali si perde entusiasmo. Mi pare che le regole chiave nel decidere su quale social network posizionarsi siano

  • imparare a usarlo bene, a capire chi lo legge, che autorevolezza ha, quali sono gli interessi commerciali in gioco, in che fase di hype si trova. E’ un tipo di lavoro a cui gli addetti stampa sono abituati, anche se magari finora sono stati abituati a farlo solo per i giornali. I giornali bisogna non solo leggerli, ma anche “decostruirli” capendo chi li controlla, chi li legge, che peso hanno gli editorialisti ecc. Per i social network va fatto un lavoro simile, imparando a usarli. Non si può capire il web 2.0 standone fuori.
  • Darsi un obiettivo. Quelli possibili sono tanti. Branding istituzionale, innovazione, comunicazione interna, comunicazione territoriale, gestione dei rapporti con professionisti e opinion-makers, comunicazione virale, allargamento dei gruppi demografici, redenzione dell’immagine istituzionale.

Avendo fatto la fatica del punto 1, sarà possibile capire quali sono gli obiettivi e quali gli strumenti adatti ai per raggiungerli.

E quali sono gli obiettivi che vi siete posti?

  1. Diventare il miglior museo italiano come qualità della presenza online
  2. Aumentare la conoscenza del patrimonio artistico del museo
  3. Sedurre persone autorevoli che orientano le opinioni di piccoli gruppi, e portarli al museo
  4. Allargare le modalità attraverso cui diffondere informazioni di servizio
  5. Raggiungere fasce demografiche escluse dalla nostra comunicazione perché troppo difficili da raggiungere con strumenti tradizionali da un museo
  6. Avvicinare l’istituzione alle comunità locali del Trentino Alto Adige
  7. Dare evidenza all’enorme lavoro fatto dal Mart per costruire rapporti con enti e aziende vicine, nazionali e internazionali
  8. Offrire più facilmente comunicazione in lingue diverse dall’italiano quando serve
  9. Dare visibilità a un patrimonio di documenti multimediali già presente al museo
  10. Dare visibilità e sfruttare la notevole rete di collaborazioni internazionali creata dal Mart in questi anni

L’attività 2.0 è compito esclusivo dell’ufficio comunicazione o c’è una partecipazione trasversale dello staff museale?

Come per ogni cambiamento, questo lavoro inizia da chi ha una visione, che poi (se è valida) viene fatta propria e condivisa da gruppi più ampi.  I musei sono più lenti di altre istituzioni a cambiare, ma non è questo il punto. Per arrivare a una partecipazione trasversale bisogna lavorare con chi ci sta, indipendentemente dal fatto che si occupi di informatica, storia dell’arte o comunicazione. E bisogna avere fiducia nel fatto che le attività 2.0. per loro natura, incuriosiscono e affascinano. Al Mart questo processo graduale è iniziato: i nostri curatori, operatori della didattica e alcuni degli artisti coinvolti dal museo partecipano se stimolati, e qualcuno comincia a farlo anche spontaneamente.

Allargando la visione, la cosa curiosa mi pare quella che nei musei italiani non sono affatto gli informatici a spingere per usare strumenti 2.0 Molto spesso gli informatici che lavorano nelle istituzioni non hanno una vita digitale. Non che sia un obbligo, per carità. Queste cose non fanno parte del loro orizzonte umano e professionale. Fanno altre cose, gestiscono i sistemi, le macchine. Lamentarsi non ha senso. Anzi, io la vedo in positivo. Il campo è libero per i professionisti della comunicazione, che una volta formatisi adeguatamente, possono facilmente accreditarsi con competenze in questo campo.

Infine, faccio notare due fatti nuovi

  • in Italia nel 2008-9 abbiamo assistito a un fenomeno nuovo, l’alfabetizzazione web di massa su facebook per milioni di persone che avevano saltato internet negli anni ’90.
  • l’esplosione dei contenuti web sui cellulari, in una nazione che ha il quasi primato mondiale della diffusione dei telefonini

Tutto questo per dire che i professionisti della cultura che si auto-escludono dal web, probabilmente non lo faranno ancora a lungo.

Gli strumenti 2.0 consentono un’interazione costante con il pubblico: molti musei internazionali hanno dato vita a progetti online in cui era l’utente l’attore principale (contest online fotografici o video, realizzazione di nuovi contenuti, votazioni, tagging, ecc.) Avete realizzato (o realizzerete) progetti User Generated Content?

L’idea di creare UGC c’è dal 2007. Stiamo lavorando lentamente su molte cose, tra cui sì, c’è anche il social tagging della collezione permanente. Com’è evidente a tutti, in questo caso abbiamo un problema che non è solo tecnico, ma anche di politica museale: accogliere i contenuti degli utenti, magari sul patrimonio, comporta una ricerca di nuovi equilibri molto delicati con curatori interni ed esterni, con gli archivisti (per chi ha una biblioteca), e naturalmente con la direzione. Il mio compito non è quello di elaborare e nemmeno di discutere le politiche museali, ma quello di attuarle. Avendo un direttore e un presidente lungimiranti, ho praticamente campo libero, ma i tempi di sviluppo non sono quelli rapidissimi del web. E in un certo senso, per fortuna che è così. La dittatura del presente fa male quando si programmano progetti ambiziosi.

Finora abbiamo quindi fatto esperimenti in contesti meno sensibili, come concorsi fotografici (con Claudio Abate), una promozione su Second Life, o iniziative per portare al museo qualche utente Facebook. Abbiamo poi una pagina per commentare le opere esposte. Anche la scelta di ospitare tre link a rotazione in homepage è un UGC, perché coinvolgiamo artisti, curatori, giornalisti.

Ci tengo a specificare che queste cose non ci costano un centesimo (o comunque un’inezia se paragonate ai manifesti per strada o agli spot delle mostre blockbuster di grandi fondazioni private), e richiedono ore-lavoro molto contenute da parte di dipendenti e collaboratori del museo. In compenso, hanno un alto valore aggiunto in termini di comunicazione.

La cosa più temeraria che abbiamo osato finora è il box Twitter in homepage, attivo da pochi giorni. Questo di fatto è portare UGC in un luogo sensibile, perché basta fare un retweet e un commento di un utente (o di un curatore esterno?) si trova in contesto istituzionale. Naturalmente per ora manteniamo un controllo editoriale totale sui tweets, ma in futuro delegheremo gli update a una cerchia più ampia.

Stiamo lavorando a tutte le novità. Non siamo impauriti, vogliamo gestire il cambiamento. Sceglieremo le migliori e le porteremo avanti.

C’è spesso, da parte dei responsabili museali, un po’ di paura nel condividere online dei materiali, soprattutto per questioni legate al copyright (penso alle collezioni su Flickr, o a certe video interviste su Youtube). Qual è la vostra esperienza in merito?

Mi sono reso conto che ci sono diversi tipi di paure, alcune giustificate, altre meno. In tutti i casi, sottovalutarle è suicida. Bisogna capire e valutare. La paura di infrangere il copyright e trovarsi a processo è molto seria. E’ folle fare i techno-optimist e non prenderla in considerazione. Invece, va portato all’attenzione di curatori e direzione il fatto di cui sopra, e cioè che le regole del gioco stanno cambiando. Ad esempio, può essere utile fare leva sull’esperienza altrui. Nel momento in cui il Brooklyn Museum mette online immagini su Flickr con la licenza Creative Commons, si possono coinvolgere i colleghi per ragionare con loro su come fare una cosa del genere nel contesto italiano.

Una seconda paura riguarda il timore di perdere autorevolezza e autorità. In questo caso, penso che molti dei timori siano ingiustificati. Proprio per questo, bisogna impegnarsi e spiegare che il web fa parte del mondo reale, e proprio grazie al 2.0 sta diventando *più* reale: ognuno ci mette la faccia, comprese le istituzioni. Quindi il web non è un contesto frivolo dove si perde autorevolezza: è uno strumento di comunicazione che si può usare per molte cose, compresa la tutela della propria autorevolezza. Un modo intelligente per spiegare queste cose a chi resta fuori può essere quello di porsi degli obiettivi intermedi. Ad esempio, se portare la propria collezione su Flickr è uno shock, si può pensare a portarne una parte in un contesto più “protetto” e “istituzionale”, come può essere Europeana.

Per quanto riguarda l’autorità, il concetto è completamente diverso. La mia opinione strettamente personale (quindi in questo caso non parlo come collaboratore del Mart), è che i musei in effetti debbano perdere un po’ di autorità, per il loro bene. Le cose stanno andando così, non c’è niente che possano fare al riguardo: la perderanno e questo farà un sacco di bene ai musei, ai visitatori, alle famiglie, agli artisti, ai dirigenti e ai critici. E’ evidente che la mia è un’opinione di minoranza, in qualsiasi museo italiano. Ma per fortuna nelle istituzioni culturali si può discutere e argomentare.

State progettando anche la creazione di un blog del museo?

Certo, da almeno tre anni! La scelta difficile è quella relativa al livello di controllo editoriale. Per molto tempo, abbiamo guardato, come modello ideale da imitare, ad Eye Level , che ha un livello piuttosto alto di controllo editoriale da parte della direzione. Poi ci sono venuti dei dubbi, e abbiamo valutato la possibilità di usare i blog per coinvolgere voci libere e partner a vario titolo del Mart. Ora stiamo lavorando in questa seconda direzione.

Concludendo, che riscontro avete dall’attività digitale?

Intendiamoci sul riscontro. Facciamo un discorso per analogia. In Italia si valutano i musei in base al numero di visitatori. Chi lavora nei musei e coi musei spesso rigetta questa visione, anche se non lo dice apertamente, perché l’obiettivo principale dei musei non è quello di attirare folle oceaniche, ma quello di promuovere la cultura. Le due cose si sovrappongono, ma solo fino a un certo punto. Chi abbassa il livello culturale e scientifico per attirare più gente, alla lunga la paga, e tradisce il proprio mandato.

Similmente, lo scopo dell’attività digitale di un’istituzione non è “portare gente al museo”. Certo, è anche questo, ma non è questo il punto. Il web è la realtà, non è una versione minore della realtà. Questa consapevolezza è difficile da assumere. Perfino sui siti web online dei grandi giornali nazionali italiani, le notizie che riguardano il web, ad esempio, vengono riportati non nella colonna delle notizie vere, ma nella colonna delle frivolezze (quella a destra su repubblica.it, per intenderci). A meno che non si parli di soldi, ma questo è un altro discorso. Quindi, per concludere, secondo me va fatto uno sforzo per capire che la qualità di un’attività digitale si misura prima di tutto sul web.

E in questo senso tutti gli indicatori che abbiamo, da Google Analytics ai social network, danno ottimi risultati. Non mi metto a fare numeri, ma le metriche sono ottime ,sia per numero che per qualità della partecipazione, e in alcuni casi (frequenza di rimbalzo, tempo medio trascorso sul sito) sono addirittura esaltanti.

In un secondo momento, è altrettanto evidente che il nostro lavoro consiste nel portare questi risultati all’interno della comunicazione a tutto tondo del Mart, e allora sì che bisogna lavorare per portare gente al museo. In ogni caso, anche se accettassimo la dittatura dell’auditel museale, siamo molto soddisfatti perché le analisi statistiche commissionate dal museo mostrano che i visitatori raggiunti e convinti attraverso il web sono in notevole aumento, sia in valore assoluto che in percentuale sul totale dei visitatori.

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Brooklyn Museum > Community bloggers

Brooklyn Museum > Community bloggers

Il museo si trova in un edificio di 16.000 metri quadrati, parte di un complesso di parchi e giardini del diciannovesimo secolo, che comprende tra gli altri Prospect Park, il giardino botanico di Brooklyn e lo zoo di Prospect Park, ed è uno dei più antichi e rinomati musei d’arte di tutti gli Stati Uniti: le sue collezioni permanenti, rinomate in tutto il mondo, spaziano dai capolavori dell’antico Egitto all’arte contemporanea e rappresentano un ampio ventaglio di culture.

La parte “online” del museo rappresenta l’esempio più “pieno” di comunità online per quanto riguarda i musei: social network, podcast, YoutTube, Flickr e blog.

Nel corso del 2007 fu presa una decisione relativa agli spazi virtuali: diversi blog relativi ad alcuni progetti del museo erano situati su piattaforme esterne (blogger), e alcuni di questi erano diventati veri e propri magazzini di materiale pubblicitario, lo staff decise, forse per una maggiore attività di controllo, di situarli all’interno del proprio website istituzionale.

L’intenzione era quella di formare un blog “immediato” nel suo utilizzo sia per il pubblico, sia per la gestione interna:

Thereafter, we moved forward with the intention to make publishing quick, easy, and enjoyable for staff, and also to make the information we provided to our audience as open and transparent as possible. In contrast to other means of communication (e.g. Web sites, publications, printed materials, press releases), blogging in its very nature is more personal; ideally, the authors’ voices are retained and spontaneity rules. (Berntein)

La caratteristica principale sembra essere una concezione dello strumento blog più immediata, umana ed informale, proprio da un punto di vista interno. Questo lo si può riscontrare nelle parole di Shelley Bernstein, Manager of Information Systems, del Brooklyn Museum:

On our Web site, information is thoroughly vetted, like any other official publication from the Museum; but our blog allows for much quicker, direct communication from staff. This means that readers of our blog sometimes find typos and less than elegantly phrased missives, but we also hope they reveal the human side of the institution.

Lo staff museale, per agevolare gli utenti che vogliono rimanere sempre aggiornati, ha deciso di creare un gran numero di RSS feed: si possono così sottoscrivere costanti aggiornamenti, seguendo ogni nuovo post dell’autore e dell’argomento preferiti.

Vai al blog.

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Il Mart su Twitter

Il Mart su Twitter

Jim Richardson dimostra di essere sempre sul “pezzo” dedicando un post pure a Twitter (molti musei utilizzano questo strumento, come potete vedere dai miei “following”), individuando 7 fattori importanti:

  • Tell your readers who is speaking Twitter è uno strumento di conversazione, ed è bene che sia chiara l’identità della persona che scrive (il direttore del museo, il responsabile della comunicazione, ecc.)
  • Be a person, not an institution (usare un linguaggio informale)
  • Tweet often, but not too often
  • Follow people (ed essere pronti a rispondere ad eventuali messaggi privati)
  • Take Twitter into the real world
  • Use Twitter to show another side of your organisation (questo vale anche per altri strumenti 2.0)
  • Don’t just broadcast Utilizzare Twitter come reale strumento di conversazione e non semplicemente come un altro luogo per veicolare la comunicazione istituzionale.

I consigli, comunque preziosi, sono quelli validi un po’ per la maggior parte delle realtà che utilizzano Twitter, ma uno in particolare mi ha colpito: “portare” Twitter nel mondo reale. Come?

Guardate un po’ qua quei geniacci del Brooklyn Museum.

Brooklyn Museum > Twitter Experience

Brooklyn Museum > Twitter Experience

Quali sono secondo voi i 3 musei più popolari in Twitter?

  1. MoMA (34973 followers)
  2. Brooklyn Museum (24401)
  3. TATE (18066)

Nei primi 30 posti 25 musei USA e 5 UK.

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BklynMuse: Going Mobile with a Gallery Guide Powered by People

BklynMuse: Going Mobile with a Gallery Guide Powered by People

Grazie alla tempestiva (e gradita) segnalazione di Carlotta vengo a conoscenza della nuova audio/video guida targata Brooklyn Museum.

Il progetto è davvero interessante, anche perchè è molto  UGC (User Generated Content) oriented.

Today, we are launching BklynMuse, a gallery guide that is designed to complement the more structured museum experience.  In its most basic form, it’s a community-powered recommendation system for the objects that are on display here.

As visitors move through the galleries, they can recommend objects to other visitors.  Based on the  recommendations you give it, this muse will crunch the collective data and present other suggestions for you as you move from room to room.

Trovate tutte le specifiche, con tanto di screenshot esplicativi, all’interno del blog del museo.

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Brooklyn Museum > Artshare app

Brooklyn Museum > Artshare app

Vi segnalo una simpatica applicazione Facebook: ArtShare.

In campo museale c’è poco di interessante in tema di applicazioni FB:  la più sorprendente, tuttavia, è quella creata dal Brooklyn Museum Information Systems department, per la condivisione dell’arte, chiamata ArtShare.

Questa applicazione permette agli utenti Facebook di selezionare le opere artistiche della collezione del museo e trasportarle sul proprio profilo.

ArtShare

ArtShare

Seguendo lo spirito di condivisione che anima queste piattaforma, ArtShare è disponibile anche per altri musei, e per quegli artisti che vogliono diffondere le proprie creazioni.

ArtShare consente agli utenti di mostrare, all’interno del proprio profilo, i loro quadri, disegni, e pittori preferiti: in un certo senso è come se l’utente costruisse online la propria collezione, condividendola e commentandola con i propri amici.

Concludendo, questa applicazione è un bel modo sia per promuovere l’arte sia per la promozione delle collezioni di un museo.

Buon divertimento!

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