In un recente post sul blog museum2.0, Nina Simon si è fatta questa precisa domanda:
Why Are So Many Participatory Experiences Focused on Teens?
A quanto pare Nina collabora sempre di più a progetti museali che vedono come audience di riferimento il pubblico dei teens. Secondo il suo punto di vista le seguenti motivazioni sono alla base di questa sovrapproduzione di contenuti “per giovani”:
Most participatory experimentation in museums starts in educational departments, and many educators primarily engage (and are funded to work with) students. Teens are a known (and somewhat controllable) entity.
Teens are developmentally focused on social identity-building and may feel more compelled to share their voices and express themselves than others than other visitors.
Teens are perceived as more interested in technology-mediated experiences and more familiar with social technologies in particular than their adult counterparts.
Teens are perceived as an audience that is particularly disaffected and hard to reach, and institutions are continually seeking new techniques that might connect them to core content experiences.
Tuttavia Nina è convinta che le istituzioni culturali dovrebbero investire maggiormente verso un audience più vasto.
While teens are heavy social media users, they may not be the right audience for content-focused social experiences.
If your activity is compelling because it involves gimmicky new technology, it’s not a good activity
Teens are already frequently engaged as active participants in museums, and while they are a good starting point, focusing on them may have less significant institutional returns than expanding to other audiences.
Teens are not the only people with stories to tell.
Credo però ci sia da fare una precisazione: mi sembra che la visione di Nina Simon sia focalizzata sull’universo museale statunitense, così diverso per molti aspetti da quello Italiano, soprattutto dal punto di vista degli eventi e del marketing.
Non sono certo un esperto e mi piacerebbe sapere l’opinione di qualche professionista museale su quest’articolo.
Nina Simon fa riferimento anche ad una questione senz’altro vera e sulla quale vale la pena indagare: da un lato la difficoltà di rendere “attraenti” molti musei per i più giovani, dall’altro la consapevolezza che questi giovani sono i cosiddetti “nativi digitali”, nati praticamente insieme alla Rete e “naturalmente” pratici con gli strumenti che essa offre.
Quindi, quali sono le vie migliori per coniugare l’esigenza del primo punto con la realtà del secondo?
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